BRIGHTON
RACCONTO (prima parte)
A gestire la casa di Spring Street, in cui sono ospite a pagamento, sono una giovane madre di nome Kim e la figlia. La madre deve essere stata una hippie nel passato, stile Woodstock anni ‘60-‘70, ma con l’esaurimento della donna moderna. La figlia, carina e corpulenta, è infossata nel divano, non si alza nemmeno per un saluto di benvenuto. È troppo presa a trangugiare un doppio hamburger con formaggio e salse + un vassoio di bignè glassati davanti alla tv, per dare uno sguardo a chi entra in casa.
Paradossale, accanto a lei c’è un libro dal titolo: “I can make you thin” di Paul Mckenna. Ma?!? … Più tardi, per cena, mi ritrovo un piatto di cous cous con verdure. Non so chi vogliano far dimagrire, se la figlia o l’ospite…
Il giorno dopo scendo per la colazione e sulla tavola non trovo la decantata Enghish Breakfast, cioè pancetta, uova, fagioli, salsicciotti, pomodori e funghi, ecc… bensì una serie infinita di scatole di fiocchi d’avena, mais liofilizzato e cereali. Una delusione. Non tocco nulla e passo direttamente al caffè (anch’esso liofilizzato in granuli sciolto nell’acqua bollente). Da una mensola scorgo una bottiglia di vodka, allungo la mano e ne metto un goccio nel caffè, tanto per tirarmi su! Dopodiché esco…stralunata, frastornata (non per la vodka) ma per la sensazione congenita che si porta dietro il primo giorno di vagabondaggio in una città nuova in cui non si conosce niente e nessuno. Vado alla ricerca di un punto di riferimento, o per lo meno, me lo creo…
Primo obiettivo, trovare la scuola partnership (solo più tardi scoprirò essere ad Hove) e almeno 1 dei 15 ragazzi sparsi lungo la costa impiegati fra banconi di bar, ristoranti e charity shop.
Dopo qualche ora di peregrinazione trovo il Pump Room. Qui incontro Mark, il datore di lavoro di tre ragazze. A prima vista, il giovanotto sembra ubriaco, ma assicurano è sempre così, cioè sbiascica, e mentre parla gli fuoriesce della saliva ai lati della bocca, ma è sobrio.
Solo il Pump Room merita un giro nel Seafront di Brighton, è l’unico bar ad avere un campetto da volley con la sabbia, mentre tutto il litorale è pieno di sassi. Il locale prepara caffè, smoothies alla frutta e milkshake, ma tutto sembra arrangiato, improvvisato, praticamente una bettola. L’arredamento non esiste e le attrezzature sono vecchissime, in Italia un locale del genere non passerebbe nemmeno il primo controllo dell’ufficio d’igiene.
Chi serva effettivamente al bar, non si capisce: Mark, un suo aiutante, le ragazze stagiste italiane, o nessuno?!? Ogni tanto passa qualcuno che sembra un cliente, aspetta un attimo al bancone esterno, poi fa il giro, entra, si serve da solo e va via. Senza pagare. Eppure la gente arriva in continuazione, anche quella che paga, intendo!
Mi faccio due conti in tasca: devo dare 192,50 sterline alla signora Kim (cioè ben 275 euro, stando al convertitore del cellulare) e se aggiungo i pranzi a mie spese per 11 giorni, spendendo una media di 10 sterline al giorno, ecco che mi ritrovo un’altra uscita non indifferente, senza contare le birre ed altre spese extra! Telefono subito a mio padre e gli chiedo di fare un salto in banca per rimpinguare la mia carta di credito, non si sa mai!...
Ricevuto l’ok, e rinsaldata adeguatamente la credit card, mi accingo ad effettuare il primo prelievo. Scelgo una Lloyds Bank, non tanto per il nome quanto perché è la più vicina, e dopo vari peregrinamenti lungo le via di Brighton mi rendo conto che è venerdì pomeriggio, inizia il week-end e le file ai bancomat si infoltiscono. In aggiunta, l’indomani parto per Londra, ed è il caso di avere qualche contante in tasca.
Mi avvicino allo sportello in North Street, digito il mio codice numerico, richiedo 50 pounds, riprendo la targhetta, prendo il cash e me ne vado. È nell’andarmene che mi viene addosso e mi urta una spalla un ragazzo con calzoni a cavallo basso, dredlock in testa e aria furtiva. Mi volto per guardarlo in faccia e lo trovo già di schiena a prelevare soldi dal bancomat che avevo appena usato. Allora decido di andarmene, faccio qualche metro e il tipo mi supera a passo svelto. Insospettita, inizio a ragionare, allora: il numero non può averlo visto, gli coprivo la tastiera con le spalle, la carta di credito ce l’ho in mano io, i soldi pure… Non me l’avrà mica CLONATA?!? No! Non è possibile, sarò la solita esagerata e malfidata! Continuo il tour di Brighton nei pressi del Pavilion, ma ormai la PARANOIA si è impossessata di me. “Il tipo mi ha clonato la scheda!” – è la frase che mi martella la testa.
Telefono a mia madre.
- “Mamma, oggi, mentre prelevavo i soldi dal bancomat….mi è successo che… ma secondo te, è possibile che…?”
- “No, ma ti pare…non credo…cioè, io non so bene come funzionano queste cose, ma non credo proprio, comunque tranquilla, appena si sveglia tuo padre gliene parlo, poi ti faccio sapere, ok?”
- “Ok!”
(...continua)